La ditta individuale, l'impresa familiare. Differenza tra coniuge collaboratore ed impresa coniugale.

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05/07/2017

L'ordinamento giuridico italiano prevede forme di azienda che si differenziano sotto profili formali e sostanziali. La ditta individuale e' la forma giuridica piu' semplice e meno onerosa poiche' per la sua costituzione non sono richiesti particolari adempimenti, non essendo prevista peraltro la costituzione per atto pubblico.

E' necessaria l'apertura di un numero di partita IVA; la denominazione della ditta individuale deve comprendere il cognome del titolare o le iniziali del suo nome e cognome. Si differenzia dalle altre forme societarie poichè ogni tipo di azione e' in capo ad un solo soggetto, da qui deriva il nome individuale. Il titolare, l'imprenditore e' l'unico responsabile e promotore della sua iniziativa imprenditoriale ed essendo che il rischio d'impresa ricade solo su di lui, l'intero patrimonio dell'imprenditore individuale e' soggetto al rischio d'impresa. In caso di insolvenza dei debiti della ditta individuale, egli risponde nei confronti dei terzi con tutti i suoi beni, anche personali.

Vediamo ora quali sono i vantaggi e gli svantaggi della ditta individuale e dell'impresa familiare come forme societarie; tra i primi annoveriamo come la costituzione di una ditta individuale intervenga con la semplice iscrizione alla camera di Commercio,le spese di costituzione sono ridotte;l'imprenditore accentra sulla sua persona tutte le decisioni; i costi di gestione sono minori; non vi e' obbligo di redigere il bilancio a fine anno.

Gli svantaggi derivano dalla responsabilita' illimitata del titolare nei confronti dei terzi creditori: in caso di obbligazioni sociali, l'imprenditore risponde con tutto il suo patrimonio personale dei debiti contratti e non assolti; nella ditta vi e' unicamente apporto delle risorse dell'imprenditore; non vi e' confronto con alcun socio; sussiste una limitata affidabilita' creditizia.

Per la costituzione di un impresa individuale non ci sono disposizioni legali obbligatorie quali ad esempio il capitale minimo e non e' necessario, come suindicato, un atto costitutivo formale. La ditta individuale viene di solito preferita , come forma giuridica, quando si devono svolgere attivita' che non richiedono grandi investimenti e che comportano rischi abbastanza limitati.

Particolare forma di ditta individuale e' l'impresa familiare.

La riforma del diritto di famiglia del 1975 si è posta l’obiettivo, tra gli altri, di tutelare il valore del lavoro domestico considerando giustamente che, proprio perché il coniuge attende a tale attività, l’altro è in grado di svolgere lavoro esterno (in questo caso, attività imprenditoriale), garantendo in questo modo le ragioni patrimoniali dei familiari che prestano opera continuativa di lavoro in strutture imprenditoriali a base familiare.

Impresa familiare
Secondo il dettato dell’art. 230 bis c.c., è impresa familiare quella in cui collaborano coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado. In pratica, i coniugi (o gli altri familiari) non stipulano un contratto né costituiscono l’impresa ma tengono un comportamento idoneo ;in questo schema giuridico vi e' la figura del familiare imprenditore che secondo l’orientamento prevalente di dottrina e giurisprudenza assume in proprio diritti e obbligazioni nascenti dai rapporti con i terzi.
Vi e' poi la figura dei familiari lavoratori. Ciò implica che il familiare lavoratore collabori all’impresa altrui e non cogestisca. Se, infatti, i familiari gestissero in comune l’impresa, si configurerebbe una società (di fatto, se non formalizzata in una delle tipologie previste dall’ordinamento) e non già un’impresa familiare, con la conseguenza, ad esempio, che un’eventuale dichiarazione di fallimento del titolare si estenderebbe a tutti i familiari.
L’attività lavorativa del familiare deve rivestire i caratteri della regolarità e costanza nel tempo; non può trattarsi di un apporto saltuario e occasionale. Peraltro, la collaborazione del familiare può anche non essere a tempo pieno ed esclusiva, ben potendo costui svolgere anche altre attività parallele. La continuità dell’apporto richiesto dalla legge per la configurabilità della partecipazione all’impresa familiare, infatti, non impone la continuità della presenza in azienda, richiedendo invece soltanto la continuità dell’apporto.

Il familiare lavoratore gode del diritto al mantenimento in relazione alla condizione patrimoniale della famiglia. Tale diritto va osservato anche nel caso in cui l’impresa sia in perdita, non produca profitti e consta nella corresponsione di quanto occorrente per far fronte alle esigenze di vita di chi non possegga redditi propri o non disponga di redditi adeguati.Inoltre, il familiare ha il diritto di partecipare agli utili dell’impresa, ai beni acquistati con essi ed anche agli altri incrementi patrimoniali dell’azienda – ad es. l’avviamento – proporzionalmente alla qualità e quantità della prestazione svolta. Per costante giurisprudenza, il diritto agli utili dell’impresa familiare è condizionato dai risultati raggiunti dall’azienda, essendo poi gli stessi utili naturalmente destinati non alla distribuzione tra i partecipanti, ma al reimpiego nell’azienda o in acquisti di beni; la maturazione di tale diritto – dalla quale decorrono rivalutazione monetaria ed interessi, in relazione alla riconducibilità della collaborazione continuativa all’impresa familiare ad uno dei rapporti di lavoro di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. – coincide di regola, in assenza di un patto di distribuzione periodica, con la cessazione dell’impresa familiare o della collaborazione del singolo partecipante.

Coniuge collaboratore. In particolare, rispetto all’apporto lavorativo del coniuge, va segnalato l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione secondo il quale deve riconoscersi la qualifica di partecipante all’impresa familiare alla moglie casalinga che effettui per l’impresa prestazioni anche saltuarie che concorrano alla produttività dell’impresa (come la cura di pratiche amministrative e contabili, di mansioni di segreteria ).

Gestione dell’impresa familiare.
Dalla partecipazione all’impresa familiare discende una serie di diritti sia di carattere gestionale sia patrimoniale. Nello specifico, ogni familiare dispone di un voto: le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi, nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate a maggioranza dei familiari che partecipano all’impresa stessa. Bisogna ricordare che i poteri di amministrazione dei familiari sono confinati all’interno dell’impresa familiare e non assumono rilevanza alcuna per i terzi; questo comporta che gli atti eventualmente posti in essere dall’imprenditore contro la volontà dei familiari conservano piena validità ed efficacia nei rapporti con i terzi. Peraltro, come abbiamo innanzi osservato, in mancanza di un regime di pubblicità legale, i terzi non sono neppure in grado di sapere dell’esistenza dell’impresa familiare. Tuttavia, gli atti posti in essere dall’imprenditore in contrasto con la volontà dei familiari rimangono illegittimi nei rapporti tra imprenditore e familiari, che avranno diritto di agire nei confronti dell’imprenditore per il risarcimento dei danni.

Diritti e doveri.
E’ importante precisare che la separazione personale dei coniugi non e' di per sé causa di scioglimento dell’impresa familiare; la Corte di Cassazione stabilisce che si debba valutare concretamente se si sia verificata, nella specie, una causa di estinzione. E’ solo con la pronuncia di divorzio che viene meno per il coniuge il rapporto di collaborazione all’impresa familiare. I familiari lavoratori godono di un regime di garanzia in caso di trasferimento o di divisione ereditaria dell’azienda. A costoro, infatti, è attribuito il diritto di prelazione legale sull’azienda (art. 230 bis c.c. co. 5°), a prescindere dalla quantità e dalla qualità del lavoro prestato; l’esercizio di tale diritto potrà essere congiunto, ovvero disgiunto, quando solo alcuni vi abbiano interesse. Oggetto della prelazione è l’azienda, ossia un insieme di beni destinati all’esercizio di impresa. Ne consegue che non opera la prelazione, ove il trasferimento abbia ad oggetto singoli cespiti, salvo che l’importanza del bene sia tale da identificarlo praticamente con l’azienda ; ammissibile è invece la prelazione su un ramo dell’azienda, stante l’idoneità dello stesso allo svolgimento dell’attività d’impresa. Il riconoscimento del diritto di prelazione, peraltro, comporta un minimo onere per l’imprenditore: questi, infatti, rimane libero di disporre della propria azienda, con il solo limite di preferire i partecipanti all’impresa, a parità di condizioni offerte da terzi. Conformemente alla disciplina generale dell’istituto della prelazione, il partecipante all’impresa familiare può riscattare l’azienda presso i terzi acquirenti, ove sia stato violato il diritto di prelazione.

Vediamo infine quando si possa parlare di impresa coniugale e non di impresa familiare.
Per operare la distinzione bisogna guardare al ruolo assunto rispettivamente dai coniugi nella fase gestionale. Ossia se l’impresa è gestita alla pari da entrambi i coniugi le cui decisioni abbiamo anche rilevanza esterna, allora ci si trova di fronte alla figura dell'impresa coniugale; ad esempio sussiste impresa coniugale quando un coniuge abbia compiuto ripetuti atti di amministrazione, gestione e finanziamento con riferimento all’impresa dell’altro coniuge, apparendo all’esterno come contitolare della stessa non potendo tali comportamenti giustificarsi né nell’adempimento di obblighi nascenti dal rapporto di coniugio né alla stregua di apporto all’impresa familiare altrui, posto che in quest’ultimo caso l’unica persona legittimata ad agire nei confronti dei terzi è il titolare dell’impresa.

Quando, invece, l’apporto del coniuge non risulti paritario e sia sottoposto al potere organizzativo e direttivo del titolare dell’impresa, allora saremo in presenza di un’impresa familiare. Nel caso di impresa familiare, oltre al titolare, possono partecipare alla ditta anche il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado - art. 230 bis c.c. I familiari di cui parla trattasi, se prestano continuativamente la propria opera nell'impresa debbono essere considerati come unità attive e quindi iscritti all'INPS.

 

Approfondimento a cura: Avv. Anna Maria Di Palma, cell. 3283218714 - e-mail: annamariadipalma2@gmail.com